6.2.07

UNA QUESTIONE PRIVATA





31 ottobre 1995 (30 anni alla Scadenza)
Repubblica di Bosnia-Erzegovina
Città di Sarajevo, colline dei Soros

Dopo essersi legato i capelli con l'elastico nero che normalmente
gli funge da braccialetto, mio figlio Tomislav
prepara una sigaretta per sé e una per Vlado. In casa abbiamo
una grande quantità di tabacco, razziata i giorni successivi
agli scontri che avevano distrutto ..:namespace prefix = st1 ns = "urn:schemas-microsoft-com:office:smarttags" />la Marlboro in
città. I miei figli se ne erano riempite le tasche, le mani e poi
tutti gli zaini e le buste gialle e verdi dell'alimentari. Mancando
le cartine, Tomislav rolla le sigarette con ritagli di
giornale o con le pagine dei suoi vecchi libri di scuola. Non
troverete su queste sigarette alcun severo monito sui rischi
per la salute, ma potrete ripassare i principi dell'endotermica
o conoscere la cifra approssimativa delle donne stuprate
tra le macerie dello studentato nell'ultimo autunno.
C'è chi racconta che se le sigarette fossero mancate completamente
la nostra coraggiosa città si sarebbe arresa già
ai primi giorni di febbraio.
Victor non fuma, ma ha resistito fino alla fine.
– Questi sono gli ultimi sei. Noi siamo quattro. Come li
dividiamo, mamma?
– Uno per te, uno per Maja, due per Vlado e due per me.
Prendo in mano due proiettili. Decido quale spareremo
per ultimo. I miei figli sono intenti a sistemare le loro
armi sul tavolaccio della cucina mentre io, lentamente, porto
un proiettile alla bocca.
L'ultimo sarai tu. Questo proiettile sarà l'ultimo salmo
intonato al folle corteo funebre che stiamo conducendo da
quattro giorni e tre notti.
Bacio il proiettile e chiudo gli occhi. Sento la consueta
partitura di rumori metallici che le nervose mani dei miei
figli eseguono montando, smontando, pulendo e rimontando
le loro armi.
Mani delle mie mani.
Quelle mani aprirono con forza il portone arrugginito
il giorno che i quattro attori vennero a bussare a casa nostra,
sotto una fitta pioggia chimica. Indossavano ancora i
loro vestiti rossi e neri e avevano dei cappottacci buttati
sulle spalle. Erano scuri in volto. Una donna aspettava in
piedi, distante, sulla strada bagnata. Nell'istante in cui si
girò mi parve fosse ancora truccata e avesse una cicatrice
che attraversava perpendicolarmente le sue labbra sottili.
Il panno di feltro e il fil di ferro con il quale i miei figli
puliscono a fondo e con forza l'interno della canna dell'AK47
è forza della mia forza. Quella forza che impiegai un
giorno e una notte intera per cancellare la cupa striscia di
sangue dal nostro cortile. Gli attori avevano obbedito alle
ultime volontà di Victor: «Riportatemi da mia moglie».
Le curve nere tracciate dal suo sangue sulla pietra del
cortile erano ampie come i seni del fiume Miljacka.
A due passi dal robusto ponte di quel fiume, Victor,
senza alcuna divisa, aveva difeso il Teatro Nazionale. Dal
lunedì al venerdì, ogni sera dopo il tramonto, una piccola
compagnia di attori si ostinava a mettere in scena La Morte
e la Fanciulla, del cileno Dorfman. Il sabato mattina gli attori
sarebbero dovuti ripartire alla svelta, con quel po' che
avevano racimolato. Dovevano lasciare il teatro pulito e in
buono stato perché il sabato il Teatro Nazionale ospitava
le esecuzioni pubbliche degli oppositori politici. La domenica,
invece, era utilizzato per la trasmissione televisiva
collettiva, il programma più seguito di Kanal S, che il governo
ha deciso di proiettare ogni domenica, pubblicamente,
per creare consenso attorno alla propria politica.
Un talk show «all'occidentale» condotto dal giovane e brillante
Maximilian Pejic, fedelissimo del presidente Tudjman.
Ricordo le sue gaffe quando era solo uno speaker del notiziario
di una tv locale: «Le immagini mostrano i corpi di
cinque nostri consanguinei croati fatti a pezzi come cani.
Domani la commissione per l'identificazione si metterà al lavoro
». Come faceva un giornalista a sapere che quelle vittime
fatte a pezzi erano croate se l'identificazione sarebbe avvenuta
il giorno seguente? Pejic conduceva questa squallida
versione dei salotti americani alternando sul suo palco buffi
personaggi, con più o meno evidenti problemi fisici o mentali,
e bellissime popolane. Apparentemente un triste e allegro
circo, ma il talk show, i dialoghi, le domande di Pejic agli
ospiti, le loro risposte, tutto era subdolamente inquinato da
una sottile propaganda d'odio etnico. Odio veicolato da battute
preparate con cura e storielle inventate a dovere. Una
propaganda soft più capillare e anche molto più efficace delle
retoriche orazioni nazionaliste dei notiziari di regime controllati
dagli altri seguaci di Tudjman.
«Mira al giallo, mira al rosso, mira al giallo, mira al giallo...
bang bang bang, brava!»
Ricordo il petto nudo di Victor contro la mia schiena, e
il suo braccio magro, innervato, scuro e robusto che mi guidava
nel prendere la mira, dopo avermi illustrato con dolcezza
come impugnare un Fn-Fal, l'inclinazione che doveva
assumere il mio collo, i muscoli che potevo tenere rilassati
e la gamba che, invece, andava inchiodata a terra.
«Nel caso tu sia a casa con i ragazzi, quando io non ci
sono, e arrivi brutta gente.»
Sparavamo alla facciata anteriore di "Disneyland", come
era soprannominata la vecchia casa di riposo per anziani
dove nonno Karenin aveva trascorso i suoi ultimi
giorni, trionfo del kitsch totalitario dai chiassosi colori del
socialismo reale.
«Mira al rosso, mira al giallo, mira al rosso, mira al giallo...
bang bang bang, brava.»
Tomislav continua a rollare sigarette. Maja lo aiuta ad
appendere un suo quadro dipinto pochi giorni fa. Il successo
che hanno avuto, nello scorso dicembre, le sue opere
nella piccola mostra collettiva "L'Era del Vuoto" alla galleria
Sutjesca, vicino al cinema, gli ha conferito una rinno-
vata fiducia in se stesso e nella propria arte. Da allora, ogni
giorno, Tomislav passa almeno sei o sette ore a dipingere.
Divora i cataloghi d'arte contemporanea, adora Warhol,
Witkin e Giger e frequenta un circolo di artisti anarcoidi
con il mito del Giappone e di Mishima. Quella sua mostra
è stata un trionfo. La madre di Elsa, la sua ragazza, invidiosa
di tanto successo, ha detto che la gente è accorsa numerosa
solo perché si era sparsa la voce che offrivamo tazze
di tè caldo ai visitatori. Quel tè, effettivamente, è stato
un piccolo ma piacevole evento, in un inverno interminabile,
gelido e immobile, che non ci ha graziato mai di un
raggio di sole.
Mentre tutto moriva o sparava, nel Teatro Nazionale andava
in scena, per soli cinque giorni, La Morte e la Fanciulla,
sul dramma dei desaparecidos. La bellezza dell'attrice
dalle labbra sottili che interpretava il personaggio di
Pauline aveva fatto chiudere un occhio alle autorità sulle
possibili implicazioni di quelle denunce. E poi, in fondo,
erano solo cinque giorni.
Victor difendeva il Teatro Nazionale.
Victor fu ucciso il quinto giorno.
Victor voleva essere cremato, lo aveva ribadito tante
volte. Noi lo abbiamo fatto cremare, gliel'avevamo promesso.
Non voleva né pope né preti né mullah. Non voleva
medaglie, non ne avrebbe mai avute. Lui difendeva il
Teatro Nazionale di Sarajevo.
I pirati lasciano che le proprie ceneri siano gettate in mare,
noi abbiamo scelto per lui un diverso ultimo approdo.
Finalmente domenica. Sull'immenso telo bianco fissato
sul palco del Teatro Nazionale viene proiettata in diretta una
nuova puntata del popolare e sfavillante talk show che continua
a incantare i cuori dei cittadini di Sarajevo persino durante
i giorni di assedio. Il complicato proiettore sfrigola alle
spalle del pubblico e l'audio salta sulle consonanti troppo
aspre. All'interno, decine di uomini e donne stretti nel proprio
grigiore tingono l'aria di freddi respiri, mentre i loro occhi
rivolti verso lo schermo si colmano di colori quasi occi-
dentali e di appassionato, straordinario interesse. Il telo, ormai
non più integralmente candido come un tempo, presenta
una fastidiosa raggiera di grinze verso l'angolo in alto a destra.
Nonostante tutte le imperfezioni, la luce del deciso sorriso
di Maximilian Pejic arriva a illuminare anche le anime
di quella povera platea, concedendo a essa due ore e un quarto
di totale oblio dalla guerra.
Siamo pronti per l'ultima battuta di caccia. La notte ha
sempre lo stesso colore, sempre lo stesso rosso Sarajevo.
Senza le luci elettriche, solo qualche soros sulle colline,
fiamme e fuochi sparsi macchiano leggermente il cielo. A
volte un razzo di segnalazione o un proiettile tracciante
prende il posto delle lucciole per rischiarare due o tre attimi
di tenebra.
– Sì, piccolina, sono lucciole, proprio come quelle nell'orticello
di nonno Karenin. Ora dormi.
Vlado è l'unico dei miei figli che sa montare una pistola
da zero, cambiarne il tamburo e migliorarne le prestazioni
con vari trucchetti. Ha una grande passione sia per la
meccanica sia per l'elettronica. Pochi mesi dopo che gli
avevano regalato il baracchino conobbe Nina, una ragazza
di Zara dalla voce sempre sfrigolante per le interferenze
dell'apparecchio con il quale la ascoltava. Per anni, ogni
sera, ha indossato un bel paio di grosse cuffie nere e con lo
pseudonimo Pierrot ha vissuto la sua stagione d'amore in
onde medie. Sopra al letto ha appeso con una decina di
chiodi il suo adoratissimo "gatto lunare". Quando l'Elettra,
la splendida nave laboratorio dell'italiano Marconi, fu
affondato nel golfo di Diklo, sulle coste slave, nel 1943, la
gente del posto la razziò. Il gatto lunare di Marconi fu un
regalo personale del padre della sua Nina il primo giorno
in cui Vlado andò a trovarla di persona a Zara. Un regalo
di cui Vlado fu a dir poco entusiasta. È una specie di aquilone,
con dei fili di rame a ventaglio che sembrano i baffi
dritti di un gatto, che quando era alto nel cielo permetteva
la ricezione dei segnali radio come fosse un'altissima antenna
al vento. Dalla mensola del preside della sua scuola
Vlado aveva rubato in precedenza un altro aggeggio ancora
più prezioso che apparteneva al panfilo Elettra, che lui
chiamava "Aruspice". Non ho mai capito di cosa si trattasse.
Quando mi riportarono l'urna, erano in due: uno con la
divisa verde scuro, il fucile a tracolla e un ciuffo di documenti
in carta bollata che fuoriusciva spiegazzato dalla tasca;
l'altro col cappello in mano, rasato, e con alcune cifre tatuate
all'altezza delle tempie. Poggiai l'urna sul tavolo. Liscia,
scura, piccola, senza identità. Loro andarono via, io mi
sedetti nella luce dolce del primo pomeriggio. Fissavo quell'urna
dalla forma di tronco di cono poggiando il mento sul
tavolaccio di legno. I miei ragazzi erano in piedi agli angoli
della stanza. Vlado tremava, io versai solo qualche lacrima.
Perché eri lì a morire davanti al teatro?
A notte inoltrata mi alzai dal tavolo. Il viso dei miei figli
era spettralmente bagnato dalle scarne luci di fuori. Prendemmo
la decisone. L'arma di mio marito era un AK47. I
proiettili di un AK47 erano compatibili con i Rata semiautomatici
di Tomislav e Maja e la rivoltella Usta di Vlado.
Svitato con interminabile lentezza il coperchio dell'urna
che conteneva le ceneri di Victor, i miei figli iniziarono ad
aprire i bossoli, tenendoli fermi con le pinze e facendo dolcemente
leva sull'incastro a metà con a un piccolo coltello
da campo. Dolcemente, affinché si potessero poi richiudere
alla perfezione. Imboccavo quei proiettili con lo stesso
amore con il quale tanti anni prima avevo imboccato
Vlado, il mio piccolo Pierrot appena nato, adagiato tra le
mie braccia con i suoi liquidi occhi azzurri, durante gli ultimi
giorni di pace. Imboccavo quei proiettili con lo stesso
amore con il quale avevo versato nel bicchiere le goccine
di antibiotico quando Maja, da poco iscritta alla palestra
popolare di lotta libera, prese quella strana febbre nei giorni
di Pasqua. Imboccavo quei proiettili con lo stesso amore
con il quale versavo lo zucchero nel buio del caffè mentre
Victor mi cingeva il seno nudo, afferrandomi alle spalle
nel pigro tepore del mattino. Amanti persi in una camera
nella città vecchia di Split, dove respiravamo la luce dell'Adriatico.
Con lo stesso identico amore, versai con cura
ogni singolo cucchiaino con le ceneri di Victor nei proiettili.
Ottenni diciannove proiettili, riuscii a non far andare perso
neanche un solo granello dell'uomo che amo. Dell'uomo
che ho deciso di amare oltre la morte. Caricammo i fucili e
le pistole. Il giovedì successivo scovammo tre svinja* ubriachi
davanti alla birreria di Verb e li facemmo secchi.
La tua morte, Victor, mieterà diciannove morti. Il tuo cadavere,
Victor, scorrerà in diciannove cortei funebri. Diciannove
proiettili gravidi dei tuoi resti marceranno verso
diciannove cuori da spezzare. E niente più. La tua Annika
ti ama, la tua famiglia ti ama: non mancheremo un colpo.
Quel venerdì vidi un gruppo dei nostri partigiani assalire
una camionetta, uccidere dei svinja e farne prigionieri
altri. Quello che sembrava dare ordini lo riconobbi, aveva
delle cifre tatuate sulle tempie. Anche lui ci riconobbe e,
dopo una lunga discussione, accettò di portare al rifugio
cinque prigionieri di meno.
«Bang bang bang bang bang, bravi ragazzi, brava mamma,
siamo a otto.»
Oggi siamo a tredici, ci rimangono sei proiettili, fino ad
ora non abbiamo mancato un colpo. Prima che il sole sia alto,
voglio che questo lungo, troppo lungo funerale, si concluda.
Domenica, la domenica della televisione collettiva. Con la
voce rotta, la bella Druuna continua il suo racconto. Maximilian
le tiene la mano, anche i suoi occhi sono rossi per la commozione.
– ... e quei bastardi, inneggiando a Tito e ad Allah, hanno
gettato i miei due bambini nel fiume Bosna, dal ponte della
città di Visoko. Io credevo fossero ancora dalla nonna, fu
mio marito... mio marito che era un semplice pescatore che
non aveva mai fatto male a nessuno... fu mio marito a ripe-.
scarli a Nala. Ma i loro cadaveri non erano intatti. Mio Dio,
quei maledetti hanno usato le teste dei nostri figli per...
Con le orecchie tese a cogliere parole sempre più strazianti,
nessuno tra il pubblico del Teatro Nazionale ha la possibilità
di riflettere sul fatto che il fiume Bosna scorre da Nala
a Visoko, e non da Visoko a Nala, e che quindi nulla potrà
mai essere trasportato dai flutti in quella direzione.
Ma l'attrazione verso il particolare macabro e morboso
sarà sempre maggiore di quella verso l'idrografia. Inutile opporsi.
È nella natura dell'uomo e della donna.
Così, durante la sfilza di ingenue mostruosità recitata in
video dalla bella Druuna dal bianco seno bagnato di lacrime,
all'interno del Teatro Nazionale si spalancano bocche larghe
di donne senza trucco, bocche aspre sormontate da baffi, bocche
delicate di ragazze e ragazzi, bocche dalle labbra raggrinzite
per l'età, altre per la sete, oppure bocche tonde e piccole
come il foro di una botte, bocche aperte in su, come una luna
nascente, accanto a bocche rosse e cupe come ceralacca,
bocche flaccide, bocche sprezzanti, rivolte all'ingiù come un
accento circonflesso, bocche lucide di emozione, bocche timidamente
illuminate da accenni di sorrisi, bocche serrate
come ostriche. Ogni bocca, la bocca di ognuno dei presenti,
si conforma ad arrotondare la vocale dello stupore fino a un
epico, corale e vibrante «oooh...».
Questa appagante sinfonia collettiva è il preambolo sonoro
dell'edificazione di un vivido odio collettivo che sostituisce
il verosimile al vero, allontanando quest'ultimo dal triste
reale presente di ognuno. L'emozione viene interrotta
bruscamente dall'inquadratura del definitivo scoppio in singhiozzi
e bava di Druuna. Enki, il fonico, approfitta euforico
per aumentare il volume del microfono, innalzando il fragore
della sua disperazione fino a far tremare le mura, fino a
stringere di artificiale dolore i cuori del pubblico in sala e a
casa.
In ognuna delle stanche teste collegate a tutte quelle buie
bocche spalancate viene a prodursi la medesima presa di posizione:
«Povera piccola Druuna. Domani ammazzerò un
musulmano anche per te».
Il Teatro ha una facciata anteriore con un maestoso portone,
colonne a spirale e un grande rosone qualche metro
più su. I vetri colorati formano lo stemma della casata dei
Kormavic, conferendogli un'autorevole aria da chiesa gotico-
romanica. All'interno, un parquet piuttosto dissestato,
in legno chiaro, alla base di un ampio e gelido salone.
Le travi di legno si incrociano tra loro per poi perdersi nelle
complesse volute che offrono un'ottima acustica e anche
a un buon colpo d'occhio. Solo una decina di persone a serata,
ma la rappresentazione della Morte e la Fanciulla era
proseguita fino al quinto giorno.
Tu difendevi il Teatro, Victor, ma il tuo posto era nel
mio letto.
La ruota della bicicletta continua a girare per qualche altro
istante, mentre noi siamo immobili, con le orecchie tese.
Morto anche questo. Ora ce ne rimangono cinque.
Quei tre sono di spalle, stanno alzando infastiditi una
saracinesca incastrata. Il sole è quasi sorto. Uno. Due. E
tre. Sì! Tomislav trema ma i bersagli sono facili. Dovrebbe
fumare di meno, avrebbe i nervi più saldi. La saracinesca
schizzata di sangue e i piccoli brandelli di carne e capelli
probabilmente gli ricorderanno uno dei suoi ultimi lavori
su plexiglas. Non saprò mai se mio figlio Tomislav sia un
artista con una radicata vena di crudeltà, un sadico con talento
d'artista o, semplicemente, un ragazzo disperato che
combatte, come tutti noi, una guerra ormai solo personale.
Accompagnato da un urlo, vedo un lampo di sangue
nell'aria e la mano di Tomislav volare a terra, strappata al
polso da una raffica di mitra.
Urlando, un soldato con la stessa divisa dei tre morenti
si precipita sparando contro mio figlio. Io lo centro al viso,
Maja gli fa esplodere il petto. L'urlo gli muore in gola mentre
con un tonfo precipita sulla breccia nell'istante esatto in
cui Tomislav crolla sulle proprie gambe, urlando per il dolore.
Grida solo per un istante, poi inizia a fissarmi. Il suo
corpo magro ossuto, i suoi capelli neri crollati sulla fronte.
Guardandomi così mi pianta nel cuore tutta la mia responsabilità,
come a dirmi: «Ma che cazzo ci stai facendo
fare? Io non voglio fare il macellaio. Io voglio essere il nuovo
Basquiat. Guarda come cazzo sono ridotto adesso.
Guardami, senza una mano. Che cazzo di futuro mi stai offrendo,
madre? Diccelo, che cazzo di futuro ci stai offrendo?
Questa è la tua vendetta personale, madre, noi non
c'entriamo un cazzo».
Maja e Vlado si gettano su di lui per arrestare l'emorragia
con un brandello di stoffa strappato da non so dove. Rimane
solo il mio ultimo proiettile, ma le cose inziano a mettersi male.
La nostra eroica vendetta si tinge di tragico e di ridicolo.
I miei figli mi strillano di correre via.
Le ultime ceneri di Victor sono nel mio fucile. Victor era
morto perché difendeva il Teatro Nazionale. Victor, perché
difendevi il Teatro Nazionale? Il tuo posto era nel mio
letto.
Accenno a seguirli, poi lascio proseguire i miei figli oltre
l'Elektropriveda, in direzione della nostra casa sulla collina.
Mi volto e mio dirigo verso il Teatro.
Nell'aria si diffonde un buon odore di pane, i fornai sono
tornati al lavoro.
È meglio che i miei figli non sappiano la verità.
È meglio che ricordino il padre come un eroe.
Victor, tu difendevi il Teatro Nazionale ma il tuo posto
era nel mio letto. Guarda come ci ha lasciati.
È l'alba, non mi rimane che uccidere l'attrice.
L'ultimo proiettile è per lei.
Se invece di difendere il Teatro Nazionale fossi rimasto
nel mio letto, ora saresti vivo. Tomislav avrebbe ancora la
sua mano e io avrei insegnato ai nostri figli a leggere e scrivere
invece che a sparare alle spalle.
Se tu fossi rimasto nel mio letto, ma l'amore per quella
donna ti ha dato il coraggio di esporti al fuoco dei cecchini
per cinque giorni d'inferno.
So bene che non sei un eroe, so bene che non sei un
martire del Teatro Nazionale, che non sei morto per difendere
arte e cultura.
La tua era solo una sporca questione privata. Così come
la mia non è un'eroica vendetta ma solo un'altra bana-
le questione privata nel palcoscenico di questa infinita tragedia
dove non esistono eroi né mai ne esisteranno.
Io e te non abbiamo fatto nulla di eroico.
Solo questioni private.
L'ultimo proiettile è per quella puttana.
Riposerai dentro di lei.
Riposerai nel suo grembo.
Nel mio letto non c'è più posto per te.
Addio, Victor..


10 Comments:

Anonymous Anonymous said...

Caro Giovanni

quest'estate ho letto il suo libro Sushi Bar Sarajevo. E' a dir poco fantastico.



Scrivo questa email per confermare, se mai ce ne fosse bisogno, che la mia generazione, che è la stessa vostra, ha bisogno di libri così. Con questi continui rimandi al mondo globale della moda, del consumo, della comunicazione, dell'ipocrisia, della falsità, della comunicazione, appunto.
Il vostro modo di raccontare il mondo è fantastico!
Un appunto: il protagonista del commercial era Weah, non Desally.
Errore voluto per i diritti d'autore' Oppure anche Desally ha partecipato ad un sequel di quello sport?
Sono curioso, proprio curioso.
Infine, prima di salutarvi ringraziandovi, una domanda: l'omaggio a Crowley nasconde qualcosa? E' un autore a cui siete affezionato per ragioni intime, o offre un pensiero che è anche il vostro?
grazie e a presto

Marco Piccinini

3:17 am  
Anonymous Anonymous said...

Vorrei scriverti qualche critica dettagliata e
circoscritta volta a capire il "perchè" e che possa essere utile nelle prox
cose che farai.
Nel contenuto ho apprezzato molto la capacità di criticare il presente (la
tua è una visione lineare del futuro, ma proprio per questo lo sguardo è
rivolto al presente più che al futuro che è più un artifizio, volto a
sviluppare la tua feconda fantasia). Ma a parte il merito, la cosa che è più
importante di un libro è il modo in cui è scritto. I più bei libri che ho
letto, soprattutto tra i contemporanei (safran foer, eggers, wallace) solo
quelli che sono stati in grado di farmi ridere in alcuni momenti e farmi
commuovere (se non piangere) in altri. Io direi che sul fronte
comico-grottesco ci sei moltissimo, riesci a pitturare delle situazioni
divertentissime e, cioè che è più interessante, proprio sfruttando momenti
melodrammatici (qui non posso ignorare una certa comunanza con safran foer
che sceglie sempre trame dal sapore drammatico riuscindo a farti ridere
davanti ai suoi libri); tuttavia, la tensione iniziale, quella della madre
di famiglia che vede morire il proprio marito e che ne mette i brandelli nel
fucile per sparare ai nemici, va a perdersi nel corso della storia. L'ernome
stock di fantasia e la forte carica propulsiva di critica della realtà sono
arme a doppio taglio: le idee sono abbondanti, ma il rischio è quello di
"partire per la tangenziale" (anzi per l'asse attrezzato tanto per
richiamere un'immagine tanto cara); la struttura ciclica che è essenziale
per dare compattezza all'intera storia è sfumata (e qui riprendo ancora una
volta Foer perchè lui nel chiudere le storie è un grande); a mio avviso
manca una visione d'insieme della macro-storia che riesca ad inglobare le
vicende dei singoli personaggi, riunificare il destino dei tre fratelli, non
disperdere le vicende di ognuno.
Ora vado a nanna perchè sto davvero a pezzi.

3:19 am  
Anonymous Anonymous said...

Ho fatto 3 giorni a pescara e mia sorella mi ha portata nella libreria primo
moroni. davvero bella!
Lì ho comprato il tuo libro e lo sto leggendo..
devo dire che è davvero splendido! ti farò una lunga recensione appena
posso!

3:20 am  
Anonymous Anonymous said...

Arrivo qui da myspace, leggendoti mi è venuta voglia di leggerti.
solo questo, quasi una promessa.

chiara

3:38 pm  
Anonymous Anonymous said...

Ciao Vannigio', complimenti!
Un bacione

7:20 am  
Anonymous Anonymous said...

Hello. I love your blog, it is very nice. You can see pictures of me on http://nudecharm.net - See you soon baby ;)

5:34 am  
Blogger NoSferatu said...

Ciao Gio, lo sai che ho comprato il tuo libro perchè mi ci hai scritto pure una dedica, ma la cosa buffa è che l'ho anche letto! Tu pensa che ho dovuto perfino imparare a leggere, pensa quanto ti voglio bene! Comunque, la tua verve la conoscevo già, la tua capacità narrativa pure, ora che le ho viste insieme non posso che essere contento! La storia è bella, l'ambientazione pure, i temi toccati li trovo estremamente coinvolgenti...ma perchè sto qua a scrivere una recensione di un libro che pure Evangelisti ha trovato bello? Basta lui, no?
Insomma, non mi resta che superarti, scrivendo un libro mega-super-iper best seller che mi farà diventare straricco e famoso e finalmente allora dirò: "beh, Sushi Bar sarajevo è un capolavoro, ma io sono straricco e me ne frego". Insomma, dopo questo delirio, meglio che vada a dormire, che è tardi e dopo una certa ora sparo cazzate (sai che ho vinto una gara di tiro al piattello, sparando cazzate?)

votate il Partito Per l'Estinzione Della Razza Umana !

(vieni a visitare anche il mio blog ogni tanto, cafone!)
Un bacio a te e la tua Regina

3:00 pm  
Blogger NoSferatu said...

Sempre io,

se tante volte non ti ricordassi quale cazzo è il mio blog, l'ho riaperto finalmente 3 giorni fa:

http://nelfuoco.blogspot.com

3:02 pm  
Anonymous Anonymous said...

4tybRU Hello! Great blog you have! My greetings!

11:01 pm  
Anonymous Anonymous said...

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