25.8.05

TERMINAL STORY





.

1. Davanti allo specchio

-Stellì, damm 'na buttiett' d'acqua.
-Lissia o gazata?
Il sole adesso è meno caldo, e si avvia a concludere questa giornata qualunque d' autunno.
Ho lasciato da due anni la mia famiglia a Kladno, vicino Praga, per partire alla volta dell'Italia. Non ero mossa da disperazione o povertà. Partii perché volevo assaggiare questo paese dal quale, durante gli studi, mi sentivo così attratta ed incuriosita. Nonostante la cadenza e alcuni problemi con le consonanti doppie, riesco perfettamente a farmi capire dai clienti. D'altronde, da quando lavoro al Terminal Bar, il cliente è il mio unico altro. Il piazzale dei pullman è il mio unico orizzonte, e gli arrivi e le partenze sono le lancette che scandiscono il mio tempo. La mia libertà si esercita negli ottanta centimetri di distanza tra il bancone di plastica rossa davanti a me e la parete dietro, con il fornetto per i panini e le mensole con le bottigliette di succo di mela a temperatura ambiente.
Granchio.
Si chiama così, no?
Metà della mia vita la passo scivolando di lato come un granchio.
-O ma mi stì ssentì? Ndo' ciai la testa stasera, stellì ?
Gatti, solo gatti. Enea, il vecchio cliente che mi chiede l'acqua, è un pittore che dipinge e ha dipinto solo quadri con gatti. Gatti inquietanti, gatti a volte troppo grandi per essere gatti, con sguardi troppo maligni per essere creature di dio, oppure gatti giocosi, pigramente appisolati ai piedi della padrona. Oggi lo vedo spaventato, credo stia tremando, e ha gli occhi gonfi.
-Oggi mi muoio stellì. Tra un po' sentirai la campana della chiesa. Don don dong. Dammi un po' d'acqua che all'inferno ci avrò tanta sete, stellì.
- Perché dici brutte cose nonno mio!
-Guarda quà.
Mi mostra tre chiazze scure, sottili, come delle buie ferite alla base del collo. Anche il dorso della mano destra aveva quelle macchie.
-Il fegato - mi spiega - è sicuramente il fegato, troppe gliene ho fatte passare.
Anche la settimana scorsa Enea aveva quelle strane chiazze. Era sempre martedì. Boh, sarà allergico ai martedì.
Che vuoi che ne capisca una povera ragazza-granchio.
Per giunta immigrata.
E dal guscio tatuato.
Tutti i tatuaggi che ho me li ha fatti Pierre, l'unico ragazzo con cui abbia avuto una vera storia d'amore. Leggeva tarocchi ed era in fissa con occultismo e paganesimo. Tatuava per hobby. Tatuava se stesso, tatuava gli amici e tatuava me. L'ultimo che mi ha fatto è stato uno spicchio di luna calante, uguale a quella che c'è 'sti giorni, attorno alla spalla sinistra. In quel periodo le cose tra noi iniziavano ad andare male. Sapeva che sarei partita ma era anche consapevole che la storia sarebbe finita comunque.
Una storia calante, una luna calante.
Pierre aveva grandi occhi scuri, dolci, ma a volte pareva nascondessero una ferocia che mi spaventava.
E' stata l'unica persona che io abbia mai amato fino a quando, un mese fa non mi scoprii innamorata del mio giovane padrone di casa. Fidanzatissimo con una tale Alice. Fisicamente Vittorio è uguale a me, ha la pelle bianca bianca come la mia e poi ha tanti nei, ed è alto come me. E' stato il solo pescarese che si sia fidato e che mi abbia affittato una stanza.
Appena avvertono il mio accento straniero, mi chiedono da dove vengo e appena gli rispondo che sono di vicino Praga:
-Per carità! Tornatene in Albania!
Allora ho iniziato a dire che sono di Berlino, o di Londra, ma per lo xenofobo medio ogni immigrato viene sempre e comunque da Immigronia, terra non meglio precisata che sforna solo ladri, drogati e mignotte.
Perché non chiama?
Enea aveva ragione, l'aria inizia a vibrare del pesante suono delle campane, o meglio di campane.mp3 del cd del sound system della chiesa del Sacro Cuore alla destra del piazzale.
Perché non chiama?
E' il mio compleanno, me l'ha promesso.
Ad ogni imbrunire il Terminal viene preso d' assalto dall'unica comunità di rumeni al mondo che non beve né acqua né vino ma solo ed esclusivamente quelle dolciastre porcherie dei Bacardi Breezer al gusto lime. Ovviamente, con quei due gradi alcolici e mezzo, per ubriacarsi devono bersene a centinaia. Alcune sere, però, mi fanno al cortesia di buttare da soli le bottigliette vuote. Cinque rumeni che fischiano quasi tutte le ragazze che passano, ma che a me non dicono mai nulla.
Non mancherebbero mai di rispetto alla pupilla del professore.
Virgil Estavarache, il professore, è semplicemente un maestro di kaval, un flauto ungherese. E' il mio cliente più affezionato. Tutti hanno grande rispetto per lui. Racimola due soldi suonando quel coso con l'accompagnamento di una ingenua base incisa su cassetta. Però è bravo, a me piace tanto come suona. E mi piacciono i suoi racconti.
- Sono stato in galera per ben tre volte! Sotto Hitler, sotto Stalin e sotto la vostra democrazia di merda!
Ora i cinque rumeni e il professore continuano a giocare a carte al tavolino di plastica bianco e rosso della cocacola. Uno di loro alza la testa per gridare due sconcerie sgrammaticate a Angelica, il trans. Superiore a tutto, lei continua a sfumacchiarsi la sigaretta e sorseggiare con grazia il suo té freddo, appollaiata come una diva del Cotton Club sullo sgabello zoppo davanti al mio bancone. Aspetta il suo turno di lavoro. Grossi polpacci lisci stretti in calze velate. Scarpe Cesare Paciotti laccate di bianco ma col tacco basso, a virgola, da signora benestante di provincia. Un abbondante e tonico seno Studio Deus Chirurgia Estetica in bella mostra. Grossa schiena (di proprietà) muscolarmente compressa in maglia Calvin Klein di ciniglia elasticizzata rossa rossa. Capelli biondi acquistati su E-bay, lunghi e sfrangiati sul viso semi-seppellito. Angelica non è di famiglia ricca, né fa affari particolarmente redditizi. E' semplicemente l'amante di un assessore della destra conservatrice. Talmente conservatrice che pare si conservi un gran numero di indumenti intimi femminili usati nell'armadietto a chiave del suo ufficio. E, a stare con lui, anche Angelica, alla fine, è diventata una conservatrice. Si è conservata quello che lei chiama il filmatino delle sculacciate sul cellulare, con il quale ricatterà senza scrupoli l'assessore quando questo si stancherà di mantenerla.
Vittorio ancora non mi chiama.
Oggi è il mio compleanno. Aveva promesso di portarmi a mangiare del sushi.
Perché non chiama?
La montagna di usciere nigeriano dell'Hotel Caracas, col glaucoma all'occhio destro, continua a fissare il cellulare, come se gli avesse ipnotizzato l'occhio buono.
Sono le sette, ecco il pullman azzurro della Febo Capuani. In partenza l'ultima corsa per L'Aquila. La corsa di quest' ora, nei week-end è quasi deserta tranne per un'esile ragazza-madre della Serbia con la sua piccola figlia di circa otto anni. Leda è una bambina sorridente, nata a Pristina, cieca dalla nascita. Le sue palpebre sono sigillate, gli occhi non si sono mai formati.
Il ragazzo che mi porta sempre i volantini politici una volta mi ha detto che quella cosa brutta è capitata ad un sacco di bambini che: "hanno avuto la sfortuna di nascere quando le missioni di pace seminavano nei campi, al posto del grano, l'isotopo 238 dell'uranio impoverito".
Ora la ragazza sta risalendo sul pullman con Leda, che le saltella accanto. Un istante prima di salire a bordo, però, la piccola si gira di scatto verso di me e spicca una corsetta. Si ferma a un passo dal bancone e allarga un bel sorriso nella mia direzione. I suoi grossi occhi sigillati nelle palpebre pare tremino leggermente, e sono puntati verso la mia spalla sinistra.
-Ti ha fatto male quel tatuaggio?
Freddo alla base della nuca. Come ha potuto vedermi la luna? Oggi porto pure le maniche lunghe, anche uno con gli occhi a posto non avrebbe potuto mai vederla. Evidentemente gliel'hanno detto. Forse la madre.
-No…no, piccola, solo un po' di fastidio.
-Invece a Vittorio gli fa male tutto. Non glielo ha spiegato la sua mamma che il sangue è roba che dovrebbe restare dentro?
Poi la madre l'afferra per un braccio borbottandole qualcosa e la riconduce verso il pullman, gettandomi un' occhiata profondamente spaventata.




2. Attraverso lo specchio.

Ora davanti alla chiesa si è raccolta una piccola folla di uomini e donne in abito scuro che si scambiano saluti e poi entrano dentro in piccoli gruppi.
Sarà la centesima telefonata che faccio a Vittorio. Lui mi dice che non devo chiamarlo mai, dovrei aspettare ancora un po', mi starà per chiamare lui, ma le parole di quella ragazzina mi stringono la gola. Che ne sa quella chi è Vittorio?
I cinque rumeni hanno finito tutte le mie bottigliette di Bacardi Breezer. Paiono essere diventati più silenziosi, più tristi, quasi cupi.
Forse un po' dispiaciuti perché Angelica li ha abbandonati anche stasera.
Il professore, mi fissa mezzo ubriaco e mi fa:
- Talya, perché ce l'hai tanto co' cielo stellato, che lo guardi sempre?
- E, Virgil questa luna è uguale al mio tatuaggio no?
- Ciai tatuaggio? Tatuaggi magia dei simboli. Fa vedere…
Virgil mi guarda la luna e aggrotta le sopracciglia, quasi si stesse arrabbiando.
- Ma cosa ti sei fatta tatuare? Io pensavo tu eri più intelligente! E' sbagliata! Chi te l'ha fatta ti vuole male! Ascolta il vecchio Virgil, che conosce la magia del corpo, le linee di Ley che congiungono i cuori della terra e ha studiato in galera a Bucarest le 97 sorti lunari di Kitâb al-Tafhîm. Quella falce di luna è terribilmente sbagliata. Chi te l'ha fatta ti odia!
- Virgil non ti ci mette pure tu…ma che mi odia, me l'ha fatta Pierre, quello me amava, che ne sai tu.
- Talya, ascolta me. E' una luna nella quinta casata. E' la casata del possesso, della prigione senza fuga. Chi ti ha tatuato in quel modo, vuole possederti per sempre, vuole essere certo che tu non possa appartenere a nessun altro. Porterai grande sventura e dolore a chi amerai dopo di lui. Con quel tatuaggio, tu sei maledetta. Pregalo di modificare il disegno, o chiunque amerai vedrà la propria vita distrutta. Solo lui può farlo. Imploralo, fai qualunque cosa purchè accetti di modificare, rovinare, eliminare al più presto questo marchio di malaugurio!
- Pierre è morto, Virgil. Te l'ho detto cento volte. Si è ucciso dopo che l'ho lasciato, dopo che sono venuta in Italia.
Scorgo con la coda dell'occhio una ragazza appoggiarsi al bancone. Ha due corte trecce biondo scuro un po' sfilacciate ed è vestita con una canottierina nera e pantaloni militari con anfibi. Ha delle belle braccette, robuste, forti ma snelle, non troppo mascoline. Noto che le ascelle non sono depilate, ma non è sgradevole. La riconosco, è la sorella di Alice, anche lei fa i tatuaggi, lavora in un centro di estetica qui vicino. Ho sempre il terrore che possa aver capito qualcosa della mia storia con Vittorio.
- Ciao.
- Ciao, cosa ti servo?
Mi poggia sul bancone un cd nella sua custodia trasparente. Sul cd ci sono scritti dei numeri col pennarello, una data.
-Cos' è?
-Un film, un dvd – e mi sorride, un po' nervosa - io mo stò di frettissima devo scapparmene. Tu, per favore, lo daresti a un tipo che viene a prenderselo tra cinque minuti? Non lo conosco ma mi ha detto che si sarebbe vestito tutto elegante. Ti prego, ti prego, ti prego, devo andare via di corsa, tanto mi conosci vengo sempre quà…Poi domattina ripasso e se è tutto a posto ti porto tre buoni per le lampade e ti spiego tutto. Ciao bella!
Non vuole sentire regioni e scatta indietro.
Io prendo il dvd e lo vado a mettere nel ripostiglio sul retro.
Chiamo e richiamo Vittorio, pregando ogni possibile Dio di poter sentire la sua allegra voce che mi tranquillizza e mi fa fare una bella risata. Niente. Tra un po' finisco e passo direttamente a casa sua.
Un sms.
No. E' solo la mia coinquilina.
Oggi mi ha lasciato una mancia da paura! Ti vengo a prendere a mezzanotte e ci facciamo due tazze al Wake Up, offro io!
La mia coinquilina fa la puttana.
Si chiama Inka, è carina, piccola, con un visetto malizioso e una grande passione per il cinema giapponese e per i Dresden Dolls. Ha dei sorrisi stupendi, e quelli li concede a tutti senza farsi pagare. Sorrisi simmetrici, perfetti, sinceri, luminosi, che contrastano con il suo abbigliamento, dai colori che oscillano tra il nero e il nerissimo. Sulla coscia, alla giusta altezza, ha il tatuaggio di un reggicalze in pizzo nero con fantasia di ragnatela. Belle manine e piedini sempre ben curati. E' simpatica e le voglio bene. Spesso sono tanto tanto in pensiero per lei.
Rialzo gli occhi dal telefonino. Il sole è quasi del tutto scivolato giù e il cielo è di quell'azzurro intenso venato rosso sangue che amo così tanto. Chissà se riuscirò a trovare un tatuatore così bravo da imprigionare i colori di quest' ora così profondamente emotiva tra la mie pelle e l'inchiostro.
Sul bancone ora sono poggiati i gomiti di un uomo in abito blu, con piccoli occhi porcini, che si carezza la cravatta dai colori che sembrano stati frullati in una macchina del tempo. Immagino che, comunque, potrebbe essere considerato il tipo elegante. Meno male, mi tolgo dalle palle 'sto dvd.
- Salve.
- Ciao, che desideri?
- Sono l'assessore De Ausilis. Lei dovrebbe essere Talya, la ragazza dell'Albania.
-Si...no no, quale Albania, io non sono albanese sono di vicino Praga. E si, lo so, tu sei quello del dvd. Ora glielo vado a prende.
I suoi occhi si iniettano di sangue, e inizia a parlare con una voce grottescamente più bassa.
- Lei che ne sa del film? Di cosa parla? Cosa le ha detto Angelica? Lo sapevo che ne avreste parlato!
- E no ma che ne so, pensavo che era venuto a prendere il dvd, ma che ne so io si dia una calma, mi so sbaliata.
Visibilmente imbarazzato per quello sbotto, l'assessore, grottescamente, si ricompone.
-Mi scusi. Davvero, signorina, oggi ho avuto una giunta terribile. Abbia pazienza. Volevo chiederle una cosa. Mio padre viene sempre qui da lei a prendere il caffè. E' quell'uomo anziano che dipinge gatti.
-Ah, si si, Enea. E' bravo tuo padre è il più simpatico. Belli suoi gatti.
-Si, la ringrazio. Dunque, mio padre ogni martedì mi torna a casa con delle strane chiazze nere sotto al collo. Siccome mi hanno detto che è lei ad avere il turno di martedì qui al Terminal…
-Che pensi che lo avveleno?
-No signorina per carità…è solo che vorrei sapere cosa prende…senz' altro qualcosa che gli fa allergia, i sintomi sono quelli…se continua, però, la questione potrebbe aggravarsi, potrebbe venirgli uno shock anafilattico, lei mi capisce, è un uomo anziano.
-Guardi, credimi, quì prende il caffè e l'acqua, ma quando ariva ha già macchie, ce le ha da prima gliele vedo pure io. Il lunedì mai, il martedì pomeriggio tante macchie.
-Si, come no. Il caffè se lo prende pure a casa ma non gli è mai successo niente.
I piccoli occhi porcini dell'assessore ora mi fissano duri e stretti.
-Va bene, signorina, te lo dico con le cattive. Io non so che cazzo di porcherie ci mettete qui nelle vostre schifezze, guarda quei panini che schifo chissà con che cazzo li fate. Voi state ammazzando mio padre ma stai attenta che io a te e a st'altra gente di merda vi ributto a mare, altro che Lampedusa, stai attenta, un'altra sola cazzo di volta che lo vedo con quelle macchie 'sto posto lo faccio radere al suolo perchè lo so che mio padre ci viene quà solo per le tue smorfie, furba puttanella chissà che cazzo gli dici per farlo tornare ma adesso basta, mi hai capito, lo capisci l'italiano, lo capisci si o no? Stai lontano da mio padre o per te sono cazzi.
- I cazzi saranno per te! Mo vattene o ti sculaccio pure io!
Mi fissa negli occhi per un lunghissimo istante. Fa come per darmi un ceffone ma poi si gira e va via bestemmiando.
Io scoppio in lacrime.
E' buio.
E' il mio compleanno.
E' un incubo.
Oggi è stata una giornata da incubo. Dio fammi questo regalo, fai che finisca presto. Al tavolo i rumeni non ci sono più. Non c' è più nessuno. Nessuno. È solo buio.
Angelica non c' è più, è stata caricata.
L'usciere nigeriano ha chiuso le porte ed è rientrato dentro. Nell'Hotel Caracas c' è una sola luce accesa, in un interno al cui balcone è affacciato un uomo, a petto nudo, che fuma una sigaretta e mi guarda.
Mi sembra di conoscerlo.
Nella sua camera la luce è rossa, di un rosso sessuale.
Dei ragazzi parcheggiano una Opel sfrigolando sull'asfalto ed escono marciando verso il mio chiosco.
Manca ancora mezz' ora ma non ce la faccio più. Servo 'sti due e chiudo.
Uno è vestito con una giacca bianca e una t-shirt rosa, il massimo del fighetto. L'altro ha un camicia rossa, pantaloni neri e cravatta sottile nera. Un po' dandy, un po' retrò.
Si avvicinano, sono due gemelli. Uno ha un braccio rotto, legato al collo da una fascia di seta rosa come la t-shirt. Non riesce a smettere di ridere. L'altro gli da una scoppola per farlo stare zitto, rovesciandogli un ciuffo di capelli sugli occhi. Hanno un viso bello, armonico, labbra rosse sottili, agili sopracciglia espressive. Uno ha i capelli rossi cortissimi, mentre quello che ride ce li ha neri, lunghi fino alle orecchie.
-Ciao tu sei Talya vero?
-Si, chi sei voi?
-Noi siamo i documentaristi. Ci stappi due Du Demon? Ma prima il dvd, per favore.
Mi fermo a guardarlo e annuisco. Lui accenna subito un sorriso soddisfatto. Il gemello con i capelli neri riscoppia a ridere e mi mette il nervoso. Ok. Mi levo dalle scatole il dvd, gli do le birre, chiudo e scappo a casa.
Sgattaiolo sul retro e apro la porta del ripostiglio. Il dvd è poggiato sulla catasta di sedie, lo prendo e lo guardo un attimo alla luce della luna. La gola mi si stringe di nuovo, e la coscienza prende a vacillarmi. La data scritta sopra al dvd è quella della nascita di Vittorio.
Cosa sta succedendo?
Un istante dopo sento che qualcuno alza al massimo la radio sul davanti del chiosco. Ora, diffratta e a squarciagola, gracchia la voce del vecchio Frank:
Blue moon, you saw me standing alone / without a dream in my heart / without a love of my own.




3. Dietro lo specchio.

Talya, quella ragazza albanese che lavora al Terminal, è davvero uguale a me. Ha la pelle bianca bianca come la mia e poi ha tanti nei, ed è alta come me. Bè io credo di essere più carino, perchè quella cià na faccia triste, non ride mai.
E poi tutto questo è anche colpa sua, in fin dei conti.
Secondo me porta sfiga.
Provo a sporgere il collo in avanti, lentamente, più lentamente che posso, per guardarmi le gambe. Non ci riesco. Rassegnato, ributto la testa indietro a riposare sul cuscinetto di pelle nera. Dio la gamba sinistra quanto mi fa male, sembra mi stia bruciando dall'interno e credo che parte delle garze si siano staccate. Mi giro a destra e guardo oltre l'ampia finestra, aperta su una splendida falce di luna calante. Tiro un sospiro. Il dolore continuo e prolungato di queste ultime ore mi ha rilasciato tanta di quella endorfina in circolo che non riesco ad avere una piena coscienza di quello che mi sta succedendo.
Mi sento quasi divertito, euforico.
Riesco, con uno sforzo maggiore, a ruotare un po' il collo verso sinistra e vedo la vetrinetta con gli orecchini e i piercing. L'anellino con la miniatura della palla da 8 del biliardo è lo stesso che porta Talya al capezzolo. Dice di essere di un paesetto vicino Praga con un nome strano che secondo me se lo inventa daccapo ogni volta. E' pappa e ciccia con un vecchio rumeno. All'inizio ero certo che fosse il suo magnaccia. Ma chi se l'immaginava che potessi finire così? Stavo tanto bene con Alice, o almeno così mi sembrava. Non potevo farmi i cazzi miei? All'inizio ero alle stelle, non solo perché Talya mi piaceva da pazzi, ma anche perché non trovavo un' anima pia che mi si pigliasse quella diavolo di stanza. Nessuno voleva condividere l'appartamento con una che batte. Eppure Inka paga sempre puntuale, lascia la casa in ordine e non ha mai avuto problemi con gli sbirri. Poi lei accetta solo tre clienti al giorno, è senza pappone e lavora non più di cinque giorni a settimana, perché il week-end le piace andare per pub, a ballare, a conoscere ragazzi tranquilli. Ogni giorno lo dedica a un tipo di clientela. Se non sbaglio il mercoledì è per i sadomasochisti, il lunedì è per i ragazzetti alle prime armi e il martedì per gli anziani. Mi raccontava che ogni martedì veniva da lei persino il padre di De Ausilis. Quel vecchietto si impasticca di viagra come tanti suoi coetanei. Ha però sviluppato una certa forma di allergia a 'ste pasticche che gli fa venire chiazze nere dappertutto. Il vecchio si ostina a prendersele e dinanzi a certe grosse mance che lascia, Inka non è capace di dire di noi, pure se secondo me prima o poi il nonno ci lascia le penne.
Alice ha scoperto la storia dopo avermi individuato un banale morso sull'interno coscia. Avrei dato la colpa al mio cane, lei avrebbe scelto di crederci per non soffrire. Ma io ormai, di Talya mi ero innamorato, e ad Alice ho spifferato tutto. Mi aspettavo disperazione, botte, rabbia, lacrime, anche gesti estremi, pericolosi.
Niente di tutto questo.
Si ammalò in silenzio, lasciandosi morire nel dolore, giorno dopo giorno, senza dire una parola, senza accusarmi di nulla.
Senza farmela pagare.
Oggi, finalmente, è arrivato il mio giorno di paga.
A dir la verità, l'ambiente qui non è malaccio. E' lo studio di tatuaggi di Dorothy, sua sorella, all'interno di un piccolo centro di estetica. Oltre ai tatuaggi ti fanno il massaggio con i petali, maschere di bellezza, cura del viso e altre frocerie.
Dorothy. Sono ben consapevole di meritare il suo odio. E' giusto che voglia vendicare sua sorella. Mi meraviglierei del contrario. Inoltre, è una vendetta piuttosto originale.
Ogni centimetro del mio corpo sta urlando di dolore eppure continuo ad essere euforico. Mi sembra solo un colorato episodio di Grattachecca e Fichetto.
Il portone si apre e rimbomba per il corridoio un marziale incedere di anfibi. Come scorgo le due treccine bionde, comprendo che la mia carceriera è tornata.
-A posto, tesoro. Ho consegnato il dvd. Ne ho fatto una copia anche per te. So che sei un bel po' vanitoso, magari ti farà piacere rivederti tutto bello tatuato. Aspetta, si è staccata la garza dalla gamba sinistra, ne prendo dell'altra.
- Grazie Dorothy, amore mio. Come sei scrupolosa Dorothy, amore mio. Posso permettermi di chiederti chi è che si starà sollazzando con le riprese del mio martirio?
-I documentaristi. Non so chi siano, non so quanti siano né di dove siano. Sono in contatto con loro da un anno e mezzo. Mi pagano fior di euri per farsi fare dei dvd con le riprese di piercing e tatuaggi genitali. Sono andati in visibilio quando gli ho annunciato che ti avrei inciso sul corpo sessantanove volte le parole "lurido porco", mettendo grande cura nello scegliere i tratti dove la pelle è più sottile, dove i nervi sono più in superficie e dove il dolore sgorga più intenso.
- E chi non andrebbe in visibilio dinanzi a certe cose, amore mio. Questo filmino te l'avranno pagato fior di euri, se ho ben capito la risma dei tuoi amici.
-Così dovrebbe essere. Io lascio il dvd in qualche posto, e uno di loro va a prenderlo. Entro ventiquattr'ore, se tutto è andato liscio, sul mio conto arriva l'accredito. Ma non credere che ti stia usando per farmi la vacanza a Cuba. Sai quanti debiti abbiamo contratto io e mia madre per pagare tutte le degenze, le analisi, le medicine che speravamo potessero salvare mia sorella? E poi dobbiamo ancora saldare il conto delle pompe funebri, pagare il prete per la messa, l'ufficio cimiteri per l'affitto del loculo, infine il bollettino per le luci mortuarie. Si deve pagare pure per morire, in questo sistema di merda. Tutto per arricchire quattro politici corrotti che predicano la castità e poi vanno a trans. Ma non mi fregano a me. Io sono un'artista, sfrutto quei porci ma non mi mischio a loro.
-Ma quale artista, amore mio, loro saranno porci ma scusa se te lo dico, tu sei una macellaia. Guarda quà, sul braccio: questo "lurido" sembra scritto da un neonato strafatto di crack, e pure sul polso, guarda che "p", sembra una "b"… dopo il cinquantesimo "lurido porco" che mi hai scritto hai iniziato ad essere più stanca di me. Calcavi troppo la macchinetta e, permettimi, ho notato ovunque una sensibile imperizia nell'esecuzione del tratto.
- Oh, ma scusami tanto, tesoro mio, per questa mia sensibile imperizia. Cercherò subito di farmi perdonare.
Così mi risponde Dorothy che getta via l'ovatta e riprende in mano la macchinetta dei tatuaggi, con l'ago ancora leggermente incrostato di sangue.
- Scusami davvero. Non vorrei che quando vai al mare a sfoggiare il tuo bel fisico da scopatore latino io possa farmi una cattiva pubblicità a causa della mia sensibile imperizia. Ora te li ripasso per bene tutti, dal primo all'ultimo. Perdona i miei errori. Era per via della telecamera, che mi imbarazza sempre un po'. Stavolta farò con più calma, ci metterò più passione, più amore. Più amore. Sì, amore, perché tu sai di meritare ampiamente tutto questo. Alice è morta per causa tua. Non ce l'avresti mai fatta a sopportare il senso di colpa, se non dopo una catartica punizione che, in ogni caso, tu debole vile verme non avresti mai avuto il fegato di infliggerti da solo. Ora scusa se alzo la musica a palla, ma temo che urlerai peggio di prima.

Blue moon, you saw me standing alone / without a dream in my heart / without a love of my own

Poi il ronzio torna a riempire la stanza.
Chissà, magari ha ragione lei.
Purtroppo non ho il tempo di rifletterci a dovere perché, un' istante dopo che la furiosa punta di quella macchinetta torna poggiarsi sulla mia carne dolorante,
la testa inizia finalmente a vorticarmi,
e un provvidenziale
svenimento
mi concede
un po'
di riposo
da
questo
incubo.






1 Comments:

Anonymous Anonymous said...

I must congratulate with you Giovanni Di Iacovo because of this wonderful blog! It's really full of informations! Maybe you could be interested in having a look to my internet site that includes informations about scommesse ... if you are interested in scommesse it's the right place for you!

4:37 am  

Post a Comment

<< Home