25.8.05

SOGNANDO UNA CICATRICE





L’istante dopo che ho finito di bere qualcuno mi urta da dietro e un altro tipo incravattato con un odore troppo forte di dopobarba mi prende per un braccio spingendomi con decisione dentro un armadio aperto. La testa mi inizia a girare e sento forte il respiro di una decina di persone attorno a me che mi spingono lungo un grande corridoio oltre l’armadio.
Da questo momento in poi ho solo ricordi confusi. Ricordo che, nonostante volessi buttarmi a dormire, mi costrinsero a marciare avanti, lentamente, in una fila disordinata. Era tutta gente elegante e distinta, ma palesemente disturbata. Qualcuno ridacchiava, molti tremavano o erano sudati. Nella semioscurità, i loro volti, ma immagino anche il mio, avevano contorni grotteschi. Brividi, occhi spalancati, occhi bassi e sguardi veloci come lampi. Ognuno si versava in gola il contenuto della fialetta bianca, alcuni ne avevano anche cinque o sei, di fialette, chi la sorseggiava e poi la passava, chi se ne ingozzava. Aveva un sapore chimico che non riuscivo ad interpretare. Lentamente saliamo, come un lurido branco in doppiopetto, su una scalinata di pietra con una fortissima luce in cima.
Un’orgia? Ci guardiamo in faccia, macchiati di paura, di vergogna e di una imbarazzata, sudata eccitazione. Non preoccuparti, capoufficio, tua moglie non ne saprà niente! Stia tranquillo, Padre, ne riparliamo domenica dopo la messa! Sempre, sempre, dottoressa, il mio voto alle provinciali sarà sempre per lei! E che problema c’è, agente? Se non dovesse drizzarlesi l’uccello, provi a farsi dare due colpetti dall’ingegnere. Nooo, non mi ha assolutamente dato fastidio quel fumo, ha fatto benissimo a bruciare in giardino i porno di suo figlio, masturbarsi fa diventare ciechi! Fare le orge, invece, alla vista fa benissimo, io non mi sono manco portato gli occhiali hehehe! Fermi immobili occhi cerchiati sgranati folli labbra storpie violacee in attesa di succhiare via il sessuale frutto di questi ultimi anni di sordo dolore. Il tempo di metter piede oltre l'ultimo gradino e le dolci vampate chimiche si erano ormai completamente impadronite della mia coscienza. Il mio cuore impazzito mitragliava dal di dentro. Alzai gli occhi. Vacillai.
Il soffitto sanguinava luce bluastra ed io la bevevo ridendo. Guardai dinanzi a me mentre uno per volta i colori si svegliavano e iniziavano a pulsare. Colori intensi, sempre più intensi. Tutto dondolava. Devo ricordarmi di chiedere a quelle due mostriciattole chi è il loro pusher. Guardavo. Una fila lunga di persone. In fondo a tutto c’era una grande e lucida sedia di metallo inchiodata a terra. Tutto dondolava come una nave, eravamo su una nave. Elettra. Elettra. Elettra. Da un lato c’era una porticina aperta. Tutti i cavi elettrici della stanza confluivano lì dentro. Ero l’ultimo della fila. Lentamente il trono si faceva più grande e vicino e più grande e vicina la porticina e più grande e più grandi e più grandi e vicini gli enormi oblò sul lato sinistro ma niente acqua solo la notte, la notte e le stelle che mi pungevano gli occhi e mi chiamavano a loro ma il trono marciava verso la mia gonfia e arida lingua e seduta sul trono c’era lei eccome se c’ era lei cristo onnipotente se c’era lei.
Laura Dresden. La più bella delle figlie di Satana.
Man mano che mi avvicinavo i capelli le crescevano sempre di più mutando colore ad ogni istante e le sue mani… dio che belle mani, e le sue belle gambe nude accavallate, un piede nudo che lentissimamente giocava a mezz’aria mentre l’altra gamba indossava uno stivale bello lucido dello stesso viola, con un tacco alto sottile, bello, lucido, tutto lucido e le sue guance un po’ scavate, due lentiggini e poi i suoi occhi… finalmente i suoi occhi grigioazzurri... ed era vestita solo da un unico attillato stivale viola.
Le labbra erano serrate ma vedevo la cicatrice aprirsi e sussurrare provocazioni sessuali in tutte le lingue che siano mai state parlate da essere umano. Era nuda e ognuno della fila si chinava a baciarle la punta del bellissimo attillatissimo lucido stivale viola per poi scomparire dietro la porticina. La cicatrice quella bellissima maledetta cicatrice pronunciava ad uno ad uno i nostri nomi. Lei ferma, sul suo trono, aspettava il successivo che le si venisse ad inginocchiare dinanzi. Lilith. Le labbra tagliate di quel fiore di divina carne erano senza dubbio il posto migliore dove la vita di un uomo potesse spegnersi. Lilith. La mia testa era troppo grande e troppo vuota e il mostro nel mio petto non voleva smetterla di pestare e gridare e pestare più forte e gridare di nuovo. Arrivai dinanzi a lei. La cicatrice si aprì un'altra volta e gridò il mio nome. Il mio sogno infetto si era finalmente realizzato. Lilith. Mi gettai in ginocchio. Alzai gli occhi. Non vidi assolutamente nulla. Li abbassai, colmi di colori che bruciavano.
Le accarezzai il piede nudo. La mia testa rotolava e urlava e poi rotolava di nuovo mentre la mia lingua continuava a carezzarle il piede. La cicatrice si spalancò e urlò troppo forte. Smisi immediatamente e iniziai a fissare il suo ginocchio. Era leggermente livido. Mi chinai e vi appoggiai le labbra. Baciai, succhiai e leccai con tutta la disperatissima passione che mi aveva consumato la carne in quei lunghi mesi. La droga centuplicò la mia energia. Sentivo il mio uccello gonfiarsi e pretendere. L’uomo al suo fianco urlò troppo forte. Alzai la testa. Ora fissavo la cicatrice. Dovevo baciarla o sarei morto. Il tempo rallentava sempre di più. Trattenni la nausea e alla fine riuscii a parlare.
- Finalmente, finalmente quel giorno è arrivato! Ti amo, ti voglio, uccidimi!
Tremavo come una foglia. La cicatrice rise gelida. Poi mi parlò.
- Sei già morto. Sei già morto e non lo sai. La mia bellezza la si può avere solo da morti.
Il tempo si fermò per un istante. L’istante dopo un violentissimo velo rosso sangue di panico mi accecò l’anima. Mi gettai su di lei. Le afferrai il collo, poi i capelli rossi. Lei gridava. Io gridavo di più. Le afferrai l'intero corpo. Dopo averle azzannato un seno, presi a leccare il piccolo, buio, capezzolo dell’altro seno, arraffando furiosamente tra le sue cosce con le mie dita ossute, tremanti. Dovevo farla mia! Mia! Così gridavo a me stesso finché mi trovai scaraventato via da una forza bruta alle mie spalle. La mia schiena si fracassò contro il cerchio di vetro di un immenso oblò. Lentamente, lentissimamente, mentre precipitavo, potevo vedere gli arabeschi del mio sangue schizzare su, in alto, verso le stelle ma io fissavo la luna che aveva il bel viso della mia Lilith che sussurrava di avermi perdonato, canticchiandomi una ninnananna dolcissima che si interruppe di colpo spezzandosi nelle mie ossa.

1 Comments:

Anonymous Anonymous said...

Questo racconto è magistrale, è il nucleo di ogni tuo segnetto :)

4:10 am  

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