24.8.05

CUORE DI CUOIO



Chi altri potrà mai ascoltarmi, ora che sto sbranando le uniche orecchie che si siano mai lasciate sfiorare dalle mie parole?
Eppure, tu hai deciso di ascoltarmi. Dimmi allora: tornerò ad essere invisibile come un tempo?
Tornerò ad essere invisibile come quando non ero ancora la sua schiava?
Ora che non appartengo più a lei, non apparterrò di certo neanche a me.
La mia tragedia pare scandita da tre momenti di mortale, elettrica attesa.
Un’ attesa del sapore della mela, poi mi sembra ci fosse un’ attesa fredda come il pavimento e l’ ultima è stata sicuramente un attesa limpida come l’acqua corrente.
La prima attesa, aveva il sapore della mela. Divoravo quella mela, ultimo atto di una cena consumata, quella sera, con terribile impazienza. Poi dissi ai miei genitori con voce alta e tono meccanico:
-Ho finito di mangiare, vado al pub con le mie amiche, nonfacciotardiciaociaociao.
Non tornai mai più. Andai da Maria e il suo appartamentino, come un grande cassetto, si richiuse su di me, colmo di giochi cattivi e dolcissimi.
Li subivo tutti, me li gustavo tutti.
In quella casetta di periferia, attratta come Cappuccetto Rosso da un Lupo dalla lingua seducente, sono stata consumata fino alle ossa. Diciamoci la verità, Cappuccetto Rosso mio bello, in fondo al cuore anch’ io, come te, non desideravo altro che di farmi finalmente divorare, senza pietà, senza rispetto, fino all’ ultimo brandello di dignità.
Maria mi aveva proibito di indossare biancheria intima al suo cospetto.
Doveva poter guardare e toccare in qualunque momento e punirmi ovunque, se lo avesse ritenuto opportuno. Mi addestrava ad obbedirle oltre ragionevolezza, annichilendo ogni mia volontà con carismatica disciplina.
Il mio corpo e il mio spirito erano una tela vergine su cui Maria dipingeva con fermezza e con amore, utilizzando i colori del piacere, del dolore e della più inebriante umiliazione.
Rosso: i lunghi capelli, rossi come onde d'incendio, s'infrangevano sulle sue ampie spalle tatuate e sul marmoreo seno, incorniciando capezzoli tesi come punte di lance.
Nero: bendata e immobilizzata da strette corde di nylon, galleggiavo in un buio silenzioso privo di confini, esausta e sudata come lei, che sapeva accarezzararmi più di tutti voialtri imbecilli.
Grigio: il tintinnio dei piccoli anelli infilati nei miei capezzoli contro i suoi tacchi lucidi e laccati.
Bianco: lo sguardo di quell’ uomo alla finestra, nel palazzo di fronte, quando le nostre eleganti tendine si scostarono per un attimo, ed io ero carponi, vestita solo da un raffinato collare per cagne di lusso.
Blu, celeste, azzurro…sono i colori del cielo, ma io non vidi cielo per molti lunghi mesi.
La prima vera alba della mia vita fu l’ ingresso in quel morbido inferno, il mio tragico tramonto è stato pochi minuti fa.
Ora non mi sento bene, sto perdendo decisamente troppo sangue. Meglio proseguire.
Dunque: la seconda attesa che ricordo era quella che consumavo sulle mattonelle brunite del pavimento di casa sua, quando quotidianamente pativo l’ attesa del suo rientro a casa.
Maria mi imponeva di dormire su uno stuoino ai piedi del letto, legandomi accuratamente polsi e caviglie tra di loro, all’ indietro. Imparai a riposare bene anche così. Solo a pranzo, quando rincasava, meritavo di essere slegata. Spesso i polsi erano troppo stretti, le caviglie bruciavano…e poi i morsi della fame… Aspettavo e aspettavo con il viso e il seno nudo sulle fredde mattonelle. Poi il timido, caldo miraggio del ticchettio dei suoi passi, la porta che si spalancava e la sua bellezza che tornava ad irradiarsi sulla mia pelle morsa dal nylon.
“Buongiorno, cuccioletta, dormito bene? Aspetta che ti slego…così potrai fare i bisognini.”
Lei era bellissima. Lei mi amava. Lei era l’ unica che mi avesse mai amato.
Non giudicatemi, chè pure voi, luridi cagnacci, vivete al guinzaglio del vostro padrone, sia egli un grasso capufficio o un ossuto professore, o un padrone mascherato da amico, da genitore, da marito, da figlio! Ho spezzato quei loro sorrisi bastardi, e ho sempre orgogliosamente stretto nelle mie mani le redini della mia vita, così come le stringo adesso, nella mia altrettanto orgogliosa scelta di sottomissione.
Quanto piu mi approssimo al nulla, quanto piu mi sublimo in te, o mia Dea, tanto più mi rigenero dal mio dolore…e imparo ad amarmi nell’essere utile a te, perchè riesco ad arrivare sin dove tu mi ordini…e alla fine mi sorridi…quanto sei bella quando mi sorridi e quando dopo l’ amore mi baci la bocca… e quando mi parli…e quando mi ascolti e come mi ascolti…chi mai mi ha ascoltato come hai fatto tu…dio come mi ascoltavi bene. Mi addormentavo su quel freddo stuoino mentre nella mia anima si allargava un colmo sorriso…cosa potevo desiderare di più?




E anch’io sapevo ascoltare lei, caro Cappuccetto Rosso, eccome! Il suono della sua voce amorevole e autoritaria mi circondava, mi stringeva la carne, mi squoteva gli organi, prostrava tutto il mio essere sotto i suo piedini ben curati, e infine mi fagocitava tra le sue gambe. Il cambio del suo tono modificava direttamente il battere del mio cuore. Le catene di parole e frasi che lei componeva con crudele precisione si agganciavano alle mie membra facendole muovere come una marionetta di carne, portandomi a fare e dire cose che non mi sarei mai aspettata, ma che bagnavano i miei sogni sin dalla prima adolescenza.
Terrore, gioia, senso di colpa, sollievo…tutto era dosato con inflessibile sapienza. Perché lei mi amava, sai Cappuccetto Rosso? Mi amava quanto io amo lei, quanto tu amavi il Lupo.
Sbrighiamoci a finire la storia, tra poco saranno tutti arrivati, e io devo riuscire a morire prima!
La terza volta che assaggiai il sapore di un’ attesa fu quello fresco dell’acqua, l’ acqua che sentivo gocciolare e lo sentivo che continuavi a far scorrere l’acqua, ma dovevi uscire prima o poi da quella stramaledetta doccia no?
Tremavo aspettando che Maria avesse finito la doccia, fissando la corda di nylon.
In questi mesi avevo accettato tutto perché pretendere tutto era nel tuo diritto di Dea.
Ma tu eri mia non meno di quanto io fossi stata tua, avresti dovuto rendertene conto.
Chi era Giordano? Perché ora parli sempre di questo Giordano? Vuoi forse farlo entrare nella tua vita? Te ne sei innamorata? Lo vuoi sposare per farci un’ allegra famiglietta sadomaso? Sull’ altare vi scambierete, invece che anelli, piercing ai genitali? La luna di miele la fate a Auschwitz? Se nasce femmina, cosa appendi sull’ uscio, un bel frustino rosa? Al posto della culla la metti a nanna in un tuo stivale borchiato?
Tutto questo lo urlavo ridendo mentre le squarciavo la carotide in profondità, segando e segando con la sua bella corda di nylon. Mi fai schifo. Ti amo.
Nella tua vita ci sono io e non c’è posto per nessuna altro. Ti ho dato tutto, sono stata la tua cuoca, la tua puttana, la tua domestica, la tua droga…cosa ti manca? Il cazzo? Un maschio? Beh, stavolta, cara padroncina di ‘sto cazzo, hai tirato un po’ troppo la corda. Mastico la tua carne mentre ti svuoti di ogni colore. Il tuo cuccioletto è diventato feroce-ferocino e ti divora tutta, proprio come…guarda un po’…il Lupo Cattivo! Ta-de-daaaan…
Stamattina mi avevi detto: “Cuccioletta, ho deciso che oggi sarà il tuo ultimo giorno al mio servizio, da domani sarai libera.” Libera? Hai deciso? Pazza! Me ne sbatto della tua libertà, chi cazzo la vuole la tua libertà! Fuori non ho mai neanche intravisto un soffio di libertà, solo padroni, padroni volgari e bastardi.
Quando gli sbirri mi hanno strappato dal tuo corpo, che azzannavo e laceravo come una cagna rabbiosa, iniziai a piangere sapendo che la fiaba era finita.
Piangevo ma non avevo paura, perché in fondo …in fondo, amore mio, non ho mai conosciuto alcuna libertà all’infuori delle tue catene…

1 Comments:

Blogger SchiavaD'Amore said...

raccontino dalla fine macabra, ma giustamente così ci si sfoga delle fantasie non consensuali. e non è poco.

9:40 am  

Post a Comment

<< Home