24.8.05

LA MORTE DI HARRY E L' INVOLTINO PRIMAVERA





Tratto da: Sushi Bar Sarajevo

Sulle note di un vecchio brano dei Velvet Underground, il taxi sfreccia tra gli ampi boulevard di Nova Pescara tagliando i coni di luce elettrica degli altissimi lampioni dello spartitraffico. Con il poderoso e rossastro collo taurino teso in avanti, Jeff, alla guida del taxi, divora i pochi chilometri che lo separano dal D’Annunzio Coliseum, uno dei più grandi teatri delle Democrazie Centrali. Infastidito dalla fitta pioggerellina generata dal microclima artificiale, Jeff impreca sottovoce contro i tergicristalli che non funzionano. Un istante dopo, però, rasserena i suoi piccoli occhi porcini con le cifre del tassametro, che gli confermano una corsetta, in fin dei conti, più che soddisfacente. Ad ogni curva, Harry Soldati e Maria Pasetta in Soldati, i passeggeri, si stringono teneramente la mano, per poi sorridersi chinando lievemente il capo l’uno verso la spalla dell’altro, quando l’auto ritorna su un rettilineo. Jeff avrebbe voglia di sputare a terra, ma si limita a sbuffare un grugnito ad ogni smanceria consumata nel suo taxi. Di tanto in tanto getta un’occhiata severa a Massimino, il figlio dei Soldati, addormentatosi sul sedile accanto al suo con la faccia sepolta sotto i riccioli rossi che gli coronano la testolina come un cesto di lumache. La vettura rallenta all’ingorgo di viale D’Annunzio.
- Siamo quasi arrivati, orsacchiottino - sussurra Maria a Harry.
L’orsacchiottino che le risponde con un lento bacino soffiato ha quarant’anni da circa quarant’ anni, nel senso che in qualunque fase della sua vita ha sempre dato l’impressione di avere circa quarant’anni, cosa che potrebbe però giovargli quando ne avrà settanta. Occhi sempre rivolti a terra, un abile riporto sulla grossa zucca e un piccolo tentativo di tatuaggio su una coscia, inciso a sedici anni dopo un crepacuore a causa di una compagna di banco che lo aveva rifiutato per il prepotente giocatore di Fightball della classe accanto. Insieme alla lettura di Opus Pistorum di Henry Miller, quel tatuaggio era stato l’unica trasgressione della vita di Harry Soldati.
Quando il taxi si arresta ad una coda proprio accanto al ristorante cinese Xi-Hu Lago dell’Ovest, Maria tira la mano del marito fino al proprio morbido petto e le loro due bocche si allargano in luminosi sorrisi. Nel fresco profumo dell’arbre magique alla rosa selvatica del taxi di Jeff, riconoscono il ristorante dove avevano consumato la loro prima cena insieme. Maria Soldati ha trentadue anni, un dolce viso un po’ largo e dei capelli biondo cenere ben acconciati. Quell’indimenticabile sera indossava un vestito pastello né corto né lungo e due stivaletti di camoscio senza tacco. Adorava mangiare cinese e i suoi occhi azzurri, oltre il bicchiere della celebre quanto annacquata birra Tsing-Tsao, trapassavano il cuore di Harry per la gratitudine. Per Maria quella cena era un evento. Sei anni prima, infatti, dopo aver seguito in televisione una puntata del programma L’ora si avvicina sul complotto cinese e sull’Armata Rossa di Terracotta, il padre aveva proibito sia a lei sia alla sorella di mettere piede nei ristoranti cinesi. Il documentario aveva suggestionato il padre di Maria con l’ipotesi che i cinesi si stavano diffondendo in tutto il globo senza però mescolarsi alle società occidentali per lanciare, nel giorno del “sol dell’avvenire”, il progetto Armata Rossa di Terracotta. Quel giorno il mondo avrebbe visto con orrore migliaia di micidiali androidi militari Mao R-09 marciare fuori dalle cantine, dalle cucine cinesi e dalle fabbriche abusive di fuochi d’artificio. L’assemblaggio di queste invincibili milizie del socialismo neorealista sarebbe stato possibile grazie agli introiti delle vendite di involtini primavera, sakè, incensi al loto nero, accendini sagomati, reggiseni e quant’altro. Quella sera al ristorante cinese, Harry e Maria, subito dopo aver inghiottito un bocconcino di pollo al bambù (ed aver, quindi, finanziato l’alimentatore di un fucile al plasma), si diedero il primo dei tanti baci che avrebbero costellato la loro storia d’amore.
Jeff accosta davanti al D'Annunzio Coliseum. Una titanica struttura di forma ellittica, come un mostruoso e splendente scarafaggio bianco accovacciato al centro di Nova Pescara, infilzato da regolari file di bandiere delle nazioni aderenti alla carta delle Democrazie Centrali. Tra i due piccoli proiettori olografici a sfera sul davanti scorreva l’ologramma del titolo dell’evento di quella serata, una puntata speciale per il decennale del talk show Salto nel Torbido, rigorosamente dal vivo. I signori Harry e Maria Soldati svegliano Massimino, scendono dal taxi, pagano aggiungendo una dignitosa mancia sottolineata da un amichevole sorriso, ringraziano e s’incamminano lungo la passerella di marmo ambrato che conduceva all’ingresso. Jeff intasca furiosamente il malloppetto, sussurra un’ennesima imprecazione per scandire il tempo e s’innervosisce per essersi ritrovato d’improvviso a corto di critiche nei confronti dei signori Soldati. Subito dopo, non accettando di provare gratitudine per quei due, sbatte con forza la portiera e sgomma via verso la sua feroce solitudine.
Henry Soldati spalanca l’ombrello di famiglia e, stringendosi Maria al petto e Massimino alla gamba destra, azzarda una corsetta verso il lato ovest del Coliseum, dove iniziava la serpentina per i biglietti che circondava l’intero edificio. Ai lati dell’ingresso si ergevano due imponenti busti del Vate in metallo cromato: i loro piccoli ed astuti occhietti erano fari che proiettavano coni di intensa luce elettrica nel cielo di una notte monocromatica. Stretti nella coda, i signori Soldati si guardano e si sorridono senza parlare per oltre tre quarti d’ora, mentre il povero Massimino sbadiglia nella sua disperata lotta contro il sonno. Harry e Maria fanno spallucce al passaggio di quegli uomini e quelle donne con le tessere Vip o con i pass del Console Miloni che marciavano all’interno senza dover rispettare la fila. Maria ha degli splendidi orecchini d’oro a cerchio, con tre brillanti. Li ha lucidati con cura per un pomeriggio intero con una mistura chimica di acetone e Puligold. Maria avrebbe ucciso sua madre versandogliene un’intera boccetta nel latte macchiato, pur di ottenere la tessera Vip ed entrare al Coliseum senza dover fare una fila del genere, sotto la pioggia, insieme a quell’idiota fallito di Harry.
Faceva davvero molto freddo. Harry si toglie la sciarpa di lana bianca e la avvolge intorno al collo morbido di Maria, sorridendole teneramente. Si ricorda, infatti, la brutta tonsillite di cui Maria fu vittima durante il rigido autunno dell’anno precedente e teme possa ricaderci. Harry sgozzerà barbaramente Maria, impugnando una bottiglia spezzata di Montepulciano D’Abruzzo durante la festa di San Cetteo, affermando che glielo aveva comandato San Cetteo in persona adducendo a motivazione “Chillì è ‘na zoccola”. L’omicidio gli avrebbe garantito un paio di settimane abbondanti di notorietà e, finalmente, anche una tessera Vip.
Maria, per un attimo, pare notare una scintilla di violenza nel solito sguardo da beota di Harry ma, subito dopo, la sua attenzione viene calamitata dalle urla provenienti dall’ingresso privilegiato. Un centinaio di giovani e giovanissimi contestatori intonano slogan e brandiscono cartelli di condanna contro la corruzione del Console Miloni e del Governo delle Democrazie Centrali di cui la Federazione Oclocratica dell’Adriatico faceva parte. Inizia un lancio di uova e vernici colorate contro la fila dei Vip. La maggior parte delle donne indossa scialli di visone e di asino del Labrador o lunghi soprabiti di mussola bianca indiana. Altre sfoggiano pellicce di infante thailandese platinato con coutisse in vita e finimenti di gatto dell’isola di Man. Le pellicce sono lasciate ampiamente scollate e sono coronate da grandi cappelli d’ermellino, impreziositi da cammei in avorio di unicorno vergine. Sono tutti capi anti-noglobal dotati di un sistema di allarme che secerne un detergente al sebo diatermico in grado di disintegrare in pochi istanti vernice, uova, pomodori, urina, sangue o sperma senza alterare minimamente la morbidezza e il volume del pelo.
La protesta va per le lunghe, ma i Soldati hanno quasi concluso la fila.
Cambiano il voucher alla cassa e si accingono a pagare i biglietti. Posti g-789, g-790 e g-791, parecchio dietro ma, orizzontalmente, abbastanza centrali. La cassiera sorride a Massimino.
- Oggi il vostro pargoletto entrerà gratis. È una puntata speciale con tante sorprese specialmente per i più piccini.
All’interno, tra tutti e nove i settori, la struttura disponeva di oltre dodicimila posti a sedere. Il Gabriele D’Annunzio Coliseum è un capolavoro di Takeshi Miike, visionario artista giapponese innamorato dell’opera dannunziana, che in questa architettura d’avanguardia ha concretizzato tutte le proprie teorie sul rimodellamento dello spazio, la ridistribuzione teatralizzata delle luci e la mescolanza degli stili.
Quattro colonne di metallo, diramandosi come intricati e lucidi alberi degli elfi, si perdevano in alto a sostenere il tetto dell’arena-teatro. Erano ornate in modo disciplinato da lampade a vapori di mercurio, oltre che, più su, da enormi casse sferiche amplificate per il surround. File di lampade alogene, bianche e quadrate, correvano lungo le pareti, stordendo di luce chi percorreva il perimetro del Coliseum. Il palco era nascosto da un ampio tendaggio rosso molto vivace, lo stesso rosso che rivestiva le 33 poltroncine delle tribune speciali. A est e ovest erano montati fogli A4 al plasma Samsung per riprodurre le immagini del palco. Ampie scalinate laterali in quarzite cristallina di Vienna, con sottile corrimano in acciaio e gradini dipinti con neri ideogrammi giapponesi, conducevano alle piccionaie superiori.
La famiglia Soldati spinge e si assottiglia per cercare di arrivare ai propri posti ma, un istante prima di poggiare il sedere sulla plastica nera con il logo del Coliseum, a Maria si mozza il respiro in gola: Luisa e Sarah Jane. Avevano trovato i biglietti ed erano diverse file davanti a loro.
- Ma come diavolo hanno fatto quelle due stronze - pensa sconvolta la signora Soldati - Mio dio… otto… sono ben otto file davanti a noi! Che vergogna. Dio mio, vorrei morire ora. Se si girassero e mi vedessero qui, sprofonderei per l’umiliazione, già m’immagino il sorrisetto di Sarah Jane riflesso nello specchio mentre mi fa la messa in piega.
Di colpo gli occhi sgranati e il freddo in gola che Maria avvertiva, convogliano in una furiosa rabbia. La donna rotea lentissimamente il capo verso Harry, che rovistava ancora nella sua borsa di pelle alla ricerca del visore per le distanze.
Dentro il cervello di Maria rimbombano tutte le frasi che vorrebbe urlare.
- Come puoi avermi fatto questo! Alle tre! Altre tre ti ho svegliato, pezzo di cretino! Dovevi essere il primo della fila e pigliare i biglietti davanti, no ‘sti posti da morti di fame!
Tirato giù dal letto e gettato in strada a quell’ora da una donna arcigna quanto inferocita, la forza di volontà di Harry non aveva retto. Dopo aver percorso un centinaio di metri alla ricerca della sua Fiat, dimentico che era in riparazione dal meccanico, aveva scelto di gettarsi dentro al Trabajo De Boca, una sordida lap-dance sottoproletaria sotto casa cui aveva sempre sognato di fare visita. Aveva trascorso così le ultime ore della notte e le prime del giorno seguente a farcire di soldi il perizomino verde-speranza di Heléna, un’ucraina non più giovanissima. Era poi finito addormentato nell’unica toilette del Trabajo con la mano sinistra che stringeva fiera il perizomino conquistato e quella destra senza più la fede né il Rolex.
Il mattino dopo, in ginocchio da un suo collega dallo smisurato senso della pietà, dopo ore di disperati piagnistei, aveva avuto due biglietti omaggio, sebbene per la lontana fila “G”, e un’efficace pomata alla gentamicina per far andar via al più presto il gonfiore del capezzolo e i segni delle sculacciate e dei succhiotti della notte prima. Che il marito si facesse sculacciare, ricoprire di cera bollente o crocifiggere in sala mensa, a Maria non importava un bel niente, purché la fila e il settore dei biglietti esprimessero la superiorità sociale della famiglia Soldati rispetto a quelle due misere parrucchiere sghignazzanti.
- Sei un cretino Harry - sussurrano gli occhi di Maria - sei un perdente, e io non voglio invecchiare accanto a un perdente.
Quando in seguito Harry brandirà la bottiglia rotta per squarciarle la gola, Maria, infatti, fisserà gli occhi del marito - occhi severi, determinati, forti, spietati - e sarà l’unico e solo momento di ammirazione che lei avrà mai provato per lui in tutta la loro vita insieme.
Tre colpi di gong si succedono nell’arco di un quarto d’ora. L’ultimo annuncia che il Talk Show stava iniziando.
Buio in sala.
(Continua...)

6 Comments:

Anonymous Anonymous said...

il titolo del pezzo ricorda 'la triste morte del bambino ostrica' di tim burton. per il resto il cpaitolo è semovente e cammina pur fuori dal contesto del romanzo. per il resto, beh, dovrei leggere il resto. mi garba il marcato dannunzianesimo dell'enclave pescarese.

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Anonymous Anonymous said...

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Anonymous Anonymous said...

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Quand'è che torni a Milano a presentare le tue ultime fatiche (o anche solo a venirmi a trovare, obviously)?
Un abbraccio grande,
Simona
P.S. Io comunque tra le foto avrei aggiunto anche quella di una "certa" serata compromettente di un po' di anni fa...giusto perchè completava il profilo...

3:57 am  

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