6.2.09

CONFESSIONI DI UN SAGITTARIO per chi non conosce Pescara o la conosce troppo









Sagittario.
Pescara, è nata il 6 dicembre di ottanta anni fa. Sotto il segno sagittario, come me.
Non avevamo molto altro in comune, io e lei. E infatti ero certo che l’avrei lasciata. L’avrei lasciata non appena ne avessi trovata una meglio.
Una città migliore, più aperta, più eterogenea culturalmente e socialmente con più stimoli, con più idee.
Ero certo che, finita la scuola, a Pescara l’avrei lasciata, e a brutto muso, senza troppe spiegazioni. Questa relazione si era fatta troppo stretta per me, mi sarei dovuto liberare una volta per tutte dal suo abbraccio soporifero. Invece eccomi ancora a vedere albe e tramonti tramite i suoi occhi di cemento, ed è sempre nel suo corpo che i treni mi riportano, alla fine del viaggio.
Sofferenza, frustrazione, imborghesimento, arrendevolezza, rassegnazione?
Può darsi, ma non è detto.
Pescara o non Pescara?
Non è poi così importante.
Pescara rimane un paesino ottuso di fighetti e palazzinari o a Pescara la cultura e la socialità stanno rifiorendo con respiro europeo?
Non chiedetemelo, non oggi.
Oggi penso a ieri, a quando le serate non finivano mai e si spendeva poco e ci bastava così poco per essre felici e Pescara era una terra da assaltare, da mordere, dove tutto era così semplice e le notti erano sempre meravigliose e non finivano mai.
Perchè i nostri erano occhi di ragazzi, quindi pronti allo stupore, anche troppo.
Da ragazzo ero settario, radicale e intollerante, ma forse facevo bene e oggi un pò mi manco.
Eravamo una frega punk, ma proprio una frega. Ci si vedeva al vecchio parco Florida, per divertirci bastava uno stereo con una cassetta dei Ramones, due birrette e quella fortissima amicizia basata anche su una comune visione della società. Eravamo tutti brutti tranne le ragazze. Creste, borchie capelli colorati. Credevo fossimo così brutti perchè eravamo punk, mentre invece oggi, che al posto del chiodo ho una giacca e non ho più i capelli blu, continuo a non somigliare ancora proprio per niente a Johnny Depp. Ma neanche un pò. Forse stavo meglio prima. Spendevamo poco. Solo sottomarche. Non low-cost, proprio solo sottomarche. Di tutto, ma solo sottomarche. Non perchè eravamo consumatori consapevoli, solo perchè non tenevamo una lira. I soldi erano davvero pochi, i cinema stavano tutti chiudendo, i locali che ci facevano entrare erano sempre di meno, ma la notte restava sempre la nostra vera casa. Noi sempre più brutti, i buttafuori sempre più chic, ma la notte, la notte degli innamoramenti a senso unico, delle chiacchierate fino all’alba, delle risate e delle amicizie strette per l’eternità, quella notte rimaneva dalla nostra parte. E non c’erano i cellulari attraverso i quali i genitori potevano avvertirci che: “sguazzò mo ch’arturn a la cas’ t’apr’la coccia!!!”. Spendevamo poco per mettere da parte i soldi per andare l’estate a Londra, o nel fine settimana a Bologna, a quel concerto o in quel centro sociale ed eravamo presenti a tutte le manifestazioni, sui sedili piu in fondo possibile del pullman organizzato che parte dalla stazione vecchia sempre in ritardo per aspettare a noi. Tutto ci incuriosiva, di tutto si poteva e si doveva discutere: dalla letteratura alle sottomarche delle birre, dalla politica alle sottomarche delle birre, dal cinema alle sottomarche delle birre, dalle sottomarche delle birre alle sottomarche dei wurstel.
Poi la scuola finì, il parco Florida chiuse, crollò il nostro Muro di Berlino, e il suicidio di uno di noi, Daniele Salle, ci lasciò un vuoto imprescindibile, insormontabile. Niente poteva più essere uguale all’estate prima. Pescara ci apparve di colpo più ostile, più estranea, più soffocante, più insopportabile. Molti di noi andarono via, quasi tutti. Io persi mio padre e non avendo fratelli né sorelle né cugini né zii né nessun altro rimasi a Pescara a dare una mano a mia madre.
Restai a Pescara.
Sopravvivere a Pescara.
Dovevo sopravvivere a Pescara.
Mica pizza e fichi, cazzo.
Presi a scrivere tutto, di tutto, su tutto. Iniziai a scrivere di più e a viaggiare di più, perchè Pescara non era più niente per me, non offriva più niente, solo cemento, indifferenza, cretinate estive che scimmiottavano pallidamente la riviera romagnola. I buttafuori erano sempre di più e sempre più chic mentre io restavo brutto uguale.
Ma io scrivevo, scrivevo perchè sapevo che li avrei fottuti o se non li avessi fottuti me ne sarei fottuto, ma giacchè dovevo fottermene forse facevo prima a fottermene direttamente e così me ne sono fottuto, della città e dei suoi buttafuori chic, e inizia a scrivere per creare mondi e città che mi portassero più lontano possibile da quì. Ci stavo riuscendo. Nel 1998 pubblicai il mio primo libro, e quando un buffo programma di Canale 5 venne ad intervistarmi e mi chiese di parlare di Pescara la risposta non poteva che essere:
- Pescara? Fatti suoi.
Non mi sento affatto pescarese, e comunque non so che cosa significhi essere pescarese, a parte forse andare allo stadio ad odiare qualcuno... non so, poi prendere il gelato a Camplone... fare le multe a sfregio... dire spesso “ma guard’ a cullù”... queste cose quà, credo.
Non mi sento neanche italiano, magari un pò europeo mi ci sento, ma forse lo dico solo per essere alla moda.
- Sono europeo e adriatico. Me lo dai ‘sto bacio?
- No, devi sentirti almeno anche americano ed equidistante tra palestinesi e israeliani e non vedere differenze tra destra e sinistra.
- Ok allora mi bacio da solo.
Cultura?
Mmh...
Nel mondo e in Europa, culture, filoni letterari e di cinema, estetiche, generi musicali nascono e muoiono e rinascono e partoriscono altri generi mentre in Abruzzo si continua a buttare soldi nel solito recupero delle vecchie tradizioni, pizzi, merletti e antichi mestieri in piena era del cognitariato. Meno male che abbiamo l’arrosticino, il buon vino e una magnifica natura, ma su questo ho scritto anche troppo.
Negli ultimi anni sono tornato a rivedere i ragazzi e le ragazze con cui ho passato la mia adolescenza a Pescara, e cerco di vedere con i loro occhi e cerco di sintonizzare i miei occhi con i loro, e cerco di vedere questa città con lucidità, confrontandola sia con le altre tante città dove siamo stati che con quella immagine di città che avevamo negli occhi in quelle sere al parco Florida, o al Club 99, o al Base, o all’Altra Città. Quelle sere in cui si spendeva poco, ma davvero poco, e ci si divertiva tanto e la notte non finiva mai.
E i nostri sorrisi scemi la illuminavano tutta.
La illuminavano tutta quanta.
Cosa ne è venuto fuori?
Mmh.
Che ora siamo cresciuti, e che prima eravamo solo scemi?
No.
Personalmente, sono cresciute le pagine che ho scritto, gli arrosticini mangiati, il vino bevuto, le multe prese, ma le sottomarche continuo a preferirle agli originali. Qualche capello bianco è spuntato a salutare i miei semplici e banali trentunanni, magari ricordo meno bene qualche testo dei Ramones, ma neanche l’ombra di cedimenti fisici né mentali nonostante continuo a non trovare tempo né per lo sport né per la spiritualità.
Allora è l’opposto: prima eravamo i punk, eravamo i fregni e ora ci siamo imborghesiti?
Secondo me no.
Noi no, ma Pescara?
Pescara vive ora una sua primavera?
Be, di sicuro non è al suo inverno.
Il punto è che ogni città è troppo piccola per chi ama vivere, e per chi vuole vivere davvero. Per ognuno di noi ce ne vorrebbero cento di città. La città dove vivi ancora quei ricordi, la città dove andresti a lavorare, la città del tuo primo viaggio da solo, la città dove torneresti in vacanza, la città dove vive quella persona che ti piace così tanto o quella che hai amato anni fa e poi la città che non esiste, la città delle tue utopie, e infine la città dove ti arrivano le bollette.
Cultura?
Nessuna città può avere tutta la cultura che chi ha veramente sete di cultura necessita.
Così come nella vita avere un solo punto di riferimento, che sia un’ideologia, una religione, una persona o una sola passione é pericoloso per la salute della propria felicità, oltre che morboso e, diciamocelo, un pò triste.
No. Cento passioni, cento sogni, cento città dove far vivere il proprio cuore e le proprie attività.
E tra queste cento, secondo me, Pescara ci sta bene.
E’ una città borghese, affaristica, fighetta, ignorante, provinciale, presuntuosa. E’ una città piena di traffico, di smog, di palazzinari che vogliono sputare albergacci sulla spiaggia. Ma queste sono maledizioni che vanno fronteggiate su una scacchiera che è l’intera società globale, affrontate quartiere per quartiere e città per città. Non c’è modo di fuggirne. Non c’è appartamento nel quartiere di Kreuzberg a Berlino o di Camden a Londra o sulle Ramblas di Barcellona dove ti verrà garantito che non arriverà un De Cecco a costruirti qualche pupazzone davanti alla finestra.
Ci sono tanti ragazzi e ragazze nelle cui vene scorre il sangue di tante città, di tante esperienze, di tante vite, di tante possibilità.
Alzare gli occhi oltre la torre civica, guardare oltre, più in alto e più lontano.
Vivere a Pescara senza morire pescaresi.
Mescolare il nostro sangue con il sangue del mondo.
L’identità è fluttuante e permeabile, mi spiace per gli ariani.
Muoversi, spostarsi, translare, viaggiare.
Vattene, se hai i soldi per farlo.
Non ce ne vogliono necessariamente molti, ma di certo non ce ne vogliono pochi.
Vattene se non hai ancora messo radici.
Vai all’agippone a fare il pieno di benzina e vattene.
Magari però poi torna quì ogni tanto, così ci racconti.
Riportaci qualcosa.
Qualcosa di nuovo.
Qualcosa di vero.
Qualcosa di altro.
Dai, torna ogni tanto.
Torna perchè questa non è la peggiore delle città possibili.
Torna che ci raccontiamo ciò cui abbiamo abbeverato lo sguardo, il cervello, le labbra, le ossa, i sogni.
Torna, dai, che non si sta poi così male.
Poi se vuoi riparti, e magari verrò con te.
Nel frattempo ti aspetto quì, a Pescara.
Per adesso.
Finchè i supermercatini continueranno a vendere le mie sottomarche preferite.

..


5 Comments:

Anonymous Anonymous said...

Cacchio, no... Mi hai drammaticamente ricordato che è dagli esami di stato che tento invano di abbandonare "lu fium, lu mare e li putech" pescaresi. Ossia da dieci anni, più o meno. Dopo il tentativo miseramente fallito di un test d'ingresso a Roma(ma quanti millenni sono passati?)I,m passing time waiting a call from Rome ("...signorina la chiamo dalla Saatchi per il suo colloquio sostenuto a luglio. La attendiamo a braccia aperte in Piazza del Popolo la prossima settimana per farle un mega contrattone da superdirettorecreativooinalternativasenioraccountconlepoltroncineinpelleumana!").
E invece, chissà per quale oscuro motivo, il Fato mi riporta inesorabilmente a ciondolare tra Vini e oli d'inverno e La Lampara d'estate. No, non c'è via di scampo. Se nasci con la tua bella pescaresità incrostata addosso, non c'è verso di liberartene. Sì, perchè, se tenti di grattartela via, ti raschi un po' di epidermide, semmai, ma tanto la pescaresità ti si rigenera sulla pelle come gli arti mozzati dei rettili.
Propongo l'istituzione di un'associazione culturale e di volontariato: "Aiutiamoli ad Abbandonare Pescara". Così, come facciata, per far vedere che siamo propositivi e "ci proviamo". Tanto poi, qui torniamo!
Anto

4:09 am  
Blogger Unknown said...

Mitticcooooooooo!!
Che poi lo vedi che avere troppo da fare rinco**ionisce (non sapevo se il nesso GL si poteva scrivere in un blogghe, it's my first time...)... Beati gli artisti che possono fare i mantenuti (e cioè? tutti? o nessuno?) e ricordarsi di andare a scrivere e commentare nel blog del giovane(?) (si può dire o no? :-P ) scrittore + cool dello Stivale...........
Uè, je suis la Presidentessa del Giovanni Di Iacovo Fans Club, quindi purtèt rispett!!!!!!!

Giova', mò guai a te se non mi aggiorni via mail e via quellochetepare, for ever and ever su tutti i tuoi passi!! Così mi ricordo di venirti a trovare spesso almeno virtualmente, te possino e me possino!! ;)

PS: Anto (piacere, my name is Presidentessa etc etc), io Pescara l'ho perlomeno parzialmente (ma anche sufficientemente) abbandonata.. hovvintoquaccheccosa?

Ciààààà!!

6:07 am  
Anonymous Anonymous said...

Chi come me vede il lato romantico delle cose (purtroppo solo quello e a volte m'è costato davvero caro!)?
Un bel giorno d'estate arriva sul litorale, vede quella distesa (allora blu, ora marrone) che si chiama mare e si innamora?
Io era abituato al cemento che mi sovrastava da tutti i lati, qualunque cosa guardassi erano solo facciate di palazzi tanto diversi nei colori quanto anonimi in quella complessità metropolitana di una Torino industriale.
Se alzavo gli occhi al cielo vedevo solo il grigio dello smog, per poter vedere il blu bisognava salire sulla mole antonelliana nei giorni migliori, o in collina.
Io ho visto Pescara, ho visto i pescaresi e mi sono innamorato.
Mi sono abituato agli awà, agli ellè e ora fanno parte del mio dna e, soprattutto, del dna dei miei figli!
Credo che Pescara abbia un magnetismo che attiri la gente e non la faccia più andare via
Tante volte ho provato a ritornare nella mia Turin, dai miei amici, dai miei parenti ma ogni volta il richiamo "pescarese" mi ha trascinato qui.
Poi c'è da dire che Pescara mi ha dato la possibilità di conoscere te e l'onore di essere tuo amico e accompagnarti per un po'.
Quindi, in ultima analisi, visto che tra poche ore dovrei alzarmi (maledetta insonnia) per andare a lavorare ti saluto, in controtendenza, con un messaggio d'amore verso questa città che mi ha accolto e non mi lascia più andare via. Mauro

6:11 pm  
Blogger Eva Aiko said...

Ma sì che tu sei meglio di Depp!!

(Come mai hai deciso di aprire un blog?! Voglio delucidazioni!!)

Come ti ho detto tempo fa,la "tua" Pescara mi ricorda molto il "mio" Friuli. E l'estrema voglia di partire e mollare la madre patria c'accomuna...C'accumona anche il fatto che siamo ancora qua e ne stiamo parlando. :* Un bacio!

2:15 pm  
Anonymous Anonymous said...

Vacca boia se sei brutto!

4:27 pm  

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